PRIMO MARELLA GALLERY
Arvin Golrokh - Nothing is empty

Arvin Golrokh - Nothing is empty

22 settembre - 30 ottobre 2022

Primo Marella Gallery Milano è lieta di presentare la prima grande mostra personale di Arvin Golrokh - Nothing is empty

Arvin Golrokh è nato a Teheran nel 1992. Dal 2018 ha scelto di trasferirsi a Torino per frequentare l’Accademia. È una scelta che potrebbe essere spiegata come una presa di distanza da un paese come l’Iran, segnato da una grande storia e da un difficile presente. In realtà Golrokh non è affatto scappato dal suo paese: in questi anni ha anzi approfondito e ridefinito la dimensione della sua appartenenza. Le coordinate storiche e geografiche sono diventate sempre più le linee di forza della sua pittura; una pittura che parla un linguaggio aggiornato, internazionale partendo dallo specifico di una memoria. Anzi, accettando di precipitare ogni volta in quello specifico. Con Arvin Golrokh il motore potente e drammatico della storia torna a segnare il destino e le ragioni della pittura. La pittura in questo è chiamata ad una sfida: dilatare l’orizzonte del proprio discorso e restituirlo come discorso sul mondo, sulla libertà e sul potere. La sfida si gioca ogni volta sulla tela, con l’intensità emotiva di una battaglia, dove la logica cieca del sopruso è chiamata a misurarsi con la lucentezza di una determinatissima visione morale. Non importa chi vinca, importante è che questo accada. La pittura svela i meccanismi ambigui del potere e insieme mette in campo l’energia per un riscatto.

In ogni opera di Arvin Golrokh c’è qualcosa che prevale sull’amarezza e la drammaticità di ciò che viene testimoniato, seppure con quelle sue modalità così allusive. È un amore profondo, un senso di appartenenza alla storia da cui viene, nonostante i tanti misfatti di cui quella storia si è macchiata. Questo spiega quel sottile e sorprendente impeto redentivo che caratterizza la sua pittura. Una pittura che non si rinserra mai nell’ineluttabilità delle cose, nel fatalismo senza scampo, ma che al contrario è regolata da una tensione morale in direzione di un “oltre”. Se ne scorgono i segni nel crepitio infinito, tagliente, sofferto di una materia pittorica che sa essere anche ostinatamente luminosa. Ricorrendo a un gioco verbale si potrebbe dire che la sua è pittura che non si “erge” ma che si “immerge”; e immergendosi prende per mano, sollecita le coscienze a comprendere lo stato delle cose e intanto dà visibilità a schegge di una bellezza smarrita ma non perduta.

Golrokh confessa di aver molto guardato Goya e in particolare i suoi “Disastri della guerra”. In effetti la drammatica amarezza che segna quello straordinario ciclo di incisioni, dove si affrontava un conflitto civile che aveva devastato la storia spagnola, è sintomo della volontà vera dell’artista: non porsi a giudice di quella stagione tragica, ma smuovere le coscienze rispetto all’inutile crudeltà di quanto era accaduto. La ferocia di tante scene del ciclo è motivata da questa urgenza morale; non è fine a sé stessa ma funziona da accorato richiamo a cogliere l’insensatezza di tanta violenza. Arvin Golrokh si muove con uno spirito simile operando però in una direzione opposta, cioè mascherando l’accaduto, distanziandolo anche quando la rappresentazione si fa più esplicita e i riferimenti più serrati. La cancellatura delle sembianze rende ancora più potente il messaggio, in quanto la pittura violando le immagini di partenza, finisce con lo smascherarne in modo impietoso il contenuto di propaganda.

 

Maggiori informazioni