Like paintings: MASAYUKI ARAI
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Masayuki Arai, Like paintings #88, 2024, acrilico su lino, pannello di legno, 73 × 58 cm
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MASAYUKI ARAI
LIKE PAINTINGS -
Da secoli, arte figurativa e arte astratta sono state considerate due vie parallele, spesso contrapposte. Eppure, molti artisti hanno dimostrato quanto sia labile questa separazione. Masayuki Arai (1984, Giappone) si inserisce in questa posizione di confine.
Un’esperienza fondamentale nell’approdo di Arai alla sua tecnica così originale è sicuramente quella del gruppo Gutai. Fondato nel 1954 da Jirō Yoshihara, il Gutai portò una profonda rottura con l’arte tradizionale e l’astrattismo occidentale, dando vita a una nuova forma di astrazione dinamica, materica e performativa. L’arte divenne così un'esperienza fisica e vitale, dove la materia doveva esprimersi liberamente nel momento presente. Questa concezione del colore come sostanza attiva e generatrice di senso ha influenzato anche artisti successivi, tra cui Masayuki Arai, il cui lavoro, pur distinto per stile e metodo, conserva quella stessa intensità materica e apertura interpretativa.
Lo stile di Masayuki Arai, così singolare e affascinante, è il frutto di una serie di passaggi fondamentali che conducono a un risultato volutamente aperto all’interpretazione dell’osservatore. Negli ultimi anni, l’artista ha avviato una pratica tanto raffinata quanto concettualmente densa: dopo aver incollato delle fotografie sulla tela, procede col rimuoverle gradualmente, lasciando intatte le evoluzioni a margine, le estensioni immaginate e dipinte intorno all’immagine originaria. Questo gesto non è isolato, si inserisce in un processo ripetuto: nuove fotografie vengono applicate, solo per essere rimosse in seguito, mentre i contorni pittorici continuano ad essere ampliati e reinterpretati ogni volta. Il risultato è un'immagine stratificata, dove la realtà rappresentata si intreccia con l’invenzione pittorica, sfumando il confine tra documento e immaginazione.
Attraverso questa pratica, Masayuki Arai mette in discussione la natura stessa della pittura e del suo rapporto con la realtà visiva. Le sue opere nascono da un uso della materia pittorica atipico: la vernice viene fatta colare da una siringa, creando un effetto di densità che varia a seconda della distanza dell’osservatore. La modalità solo apparentemente spontanea con cui il colore viene applicato sulla tela, attraverso l’utilizzo della siringa, ricorda una nuova declinazione dell’action painting di Pollock. Entrambi gli artisti considerano il colore l’elemento principale di un’opera d’arte: a seconda della gestualità con cui l’artista vi si relaziona, ne scaturisce un risultato ogni volta diverso. Da qui la casualità derivante dalla potenza dei gesti dell’artista americano, e dall’altra parte, lo studio e la guida che Masayuki Arai prevede nel proprio approccio al colore. Inoltre, l'uso di vernice colata in strati irregolari crea una sorta di tridimensionalità nell'opera: le linee e i colori acquistano una profondità fisica che sfida la tradizionale percezione della pittura. Questo effetto materico non solo rende l'opera più tangibile, ma invita l'osservatore a interagire con essa da angolazioni diverse. La superficie della tela, trasformata in un paesaggio dinamico di materia, diventa un punto di incontro tra il visibile e l'invisibile, tra il riconoscibile e l’irriconoscibile.
La sua arte non si ferma alla superficie visibile, ma si espande in profondità, come se ogni opera fosse un frammento di un'immagine più vasta, incompleta e in continuo sviluppo. Questo effetto di estensione infinita non è solo un aspetto estetico, ma diventa una metafora della continuità della percezione e del pensiero umano, che non si limita mai a un unico momento, ma è in costante movimento, evoluzione e reinterpretazione. Le sue opere diventano così dei paesaggi immaginari che si diramano oltre il bordo della tela, coinvolgendo lo spettatore in un’esperienza che va al di là della semplice osservazione visiva. Così come il pensiero non si limita mai alla superficie, ma è costantemente in movimento, ricco di sfaccettature, idee contrastanti ed emozioni complesse, anche le sue opere riflettono questa fluidità.
Questa idea di dinamicità cognitiva ed emotiva è sottolineata dall'approccio stesso di Arai alla pittura, che non fissa l'immagine, ma lascia spazio all’imprevedibilità del gesto e della materia.
Da lontano, l’immagine appare compatta, quasi fotografica: alcune tracce visive lasciano affiorare un accenno di figurazione, suggerendo la presenza di un orizzonte. Questo elemento, mai reso in modo esplicito, si carica di significato se considerato alla luce dell’estetica giapponese, in cui l’orizzonte non rappresenta un confine stabile o definitivo, come spesso avviene nella tradizione occidentale, ma piuttosto una soglia mobile, aperta, che muta in base alla percezione, al tempo, alla luce. Nella visione giapponese, l’orizzonte è un luogo di sospensione e possibilità, dove si intrecciano visibile e invisibile, elementi centrali anche nella poetica di Arai.
Avvicinandosi all’opera, però, questa illusione si dissolve e lascia spazio alla materia grezza. In questo modo, l’artista capovolge le modalità tradizionali della pittura, trasformandola in un linguaggio che oscilla tra illusione e tangibilità.
Utilizzando un approccio cromatico che richiama certe logiche ottiche del Puntinismo e del Divisionismo, entrambi basati sull'uso di colori puri e sull'interpretazione della luce, Masayuki Arai rielabora queste suggestioni in chiave contemporanea, restituendo immagini che sono al tempo stesso concrete e sfuggenti, riconoscibili e ambigue.
Significativamente, Masayuki Arai non mostra le fotografie che utilizza. Non le descrive nemmeno a parole. Non offre indicazioni sul loro contenuto originario, né sulla loro provenienza. Questo silenzio obbliga lo spettatore a confrontarsi direttamente con l’opera: ci si trova davanti a tele che sembrano proseguire da immagini mai viste, da tracce visive ormai cancellate. L’assenza dei punti di partenza fotografici – rimossi, ma il cui vuoto continua a farsi sentire – contrasta con la persistenza delle forme dipinte, suggerendo una riflessione più ampia sul modo in cui archiviamo e condividiamo le immagini nella nostra quotidianità. L’assenza di riferimenti narrativi espliciti lascia allo spettatore il compito – e la libertà – di interpretare l’opera con la propria immaginazione. In questo modo, l’artista trasforma il pubblico in co-autore, attraverso un processo attivo di interpretazione, rendendo ogni visione un atto unico, personale, irripetibile. Il fruitore è spinto a fare i conti con ciò che vede, confrontandosi con le proprie esperienze visive, i ricordi e la memoria, sia personale che collettiva. Ogni opera diventa, quindi, una sorta di specchio psicologico che riflette non solo la realtà dell'artista, ma anche quella di chi guarda.
Le tracce lasciate sulla tela evocano sensazioni, esperienze passate e forse persino simboli nascosti, che si intrecciano con la propria storia personale o con quella dell'arte stessa. Questo rende ogni incontro con l’opera un'esperienza unica, dove la visione diventa una riflessione intima e profonda sulla memoria e sul modo in cui costruiamo la nostra percezione del mondo.
L’arte di Masayuki Arai è quindi un luogo mentale in cui ci si muove per intuizioni, memorie e ricordi.
In questa dialettica tra accumulo e cancellazione, tra visibile e invisibile, Masayuki Arai sottolinea l’ambiguità della memoria visiva contemporanea. Le sue opere diventano così metafore della complessità dell’esperienza, dove ciò che ricordiamo o crediamo di vedere è sempre parziale, stratificato, e inevitabilmente manipolato dal tempo e dal nostro sguardo.
- Carolina Fieramosca
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WORKS
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MASAYUKI ARAI
Masayuki Arai, Like Paintings #74, 2024, acrilico su lino, pannello di legno, 51 × 51 cm
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MASAYUKI ARAI
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PRIMO MARELLA GALLERY MILANO
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