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Primo Marella Gallery Lugano è lieta di presentare la nuova mostra di Agostino Arrivabene, intitolata "Aprire le Zolle. Visioni dal Sottosuolo". Attraverso un gioco di rimandi tra luce e ombra, nascita e trasformazione, l'artista esplora la potenza di un atto creativo che affonda le sue radici sia nella terra che nelle profondità dell'animo umano.
Il titolo della mostra trae ispirazione da una delle poesie più emblematiche di Alda Merini, “Sono nata il ventuno a primavera”, che celebra la rinascita e la tempesta, l'incontro tra l'invisibile e il visibile. In questo profondo dialogo con la poetessa, Arrivabene traccia una linea simbolica che collega l'equinozio di primavera al solstizio d'estate, due estremi di un ciclo che si riflettono nel gesto artistico come un'ipotenusa d'amore.
“Aprire le zolle” non è solo un atto fisico ma un gesto metafisico: scavare, dissodare, portare alla luce ciò che è rimasto nascosto. Le opere in mostra sembrano germogliare da un terreno fertile, portando in superficie visioni che attraversano gli inferi e toccano l'inconscio, il tragico e il mistico. Come Persefone, la dea che cammina tra i mondi, l'artista invita lo spettatore a scoprire un regno in cui luce e ombra si fondono in un abisso di significati e rivelazioni.
È un invito a immergersi in un viaggio che va oltre la superficie, per riscoprire la forza primordiale della creazione e dell'esistenza. -
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L'innesto di fiori veri, raccolti, essiccati e integrati nella superficie pittorica, è un atto d'amore ma anche di illusione: il reale si nasconde nella finzione, la natura morta prende vita, in una sorta di “erbario animato” dove il dato botanico si intreccia con la visione mitica.
Il volto al centro dell'opera non è un ritratto: è un'icona, un simulacro di attesa. Una figura archetipica, severa e muta, che sembra custodire in sé il segreto di una fioritura sospesa. È la nostalgia stessa a prendere forma, come una statua floreale o una maschera rituale del tempo perduto. Nella filigrana si avverte una riflessione più ampia e luttuosa sulla bellezza: condannata a sbocciare di nuovo e poi a svanire, a non essere mai del tutto presenza, ma sempre sogno.
Sul piano simbolico e mitologico, Choré non appare più come la vittima dell'estasi, ma come la sacerdotessa del proprio ciclo vitale. I fiori che la incoronano non nascono dalla luce, ma dal suo ricordo; non generano figli, ma stagioni interiori. Le radici che emergono dal suo seno, i fiori che sbocciano dalle fessure e dalle vene, parlano di una maternità inversa: Persefone è figlia e madre insieme, e forse anche Demetra si reinventa nel sogno della figlia.Come recita una delle suggestioni poetiche legate all'opera:
"La primavera non è più un ritorno, ma un silenzioso delirio sotto la terra. Un fiore che nasce nel sonno dell'abisso.
Una madre che partorisce la propria madre".
“L'erbario” è quindi molto più di un quadro: è un canto vegetale dell'assenza, un altare per il tempo che non passa ma si trasfigura. -
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Sulla sua veste pesano i doni e le perdite: magnolie e rose, offerte alla Terra e alla Madre abbandonata nel mitico rapimento; radici, cardi, gemme scure e umide come frutti del suolo che Persefone ha fertilizzato con il proprio esilio. Le mani della dea sembrano ema- nizzare e allo stesso tempo raccogliere questi emblemi, come se la sua stessa carne germinasse vegetazione, in un processo di identificazione con il suolo e la memoria.
È fondamentale anche l'origine pittorica di questo dipinto: l'immagine sacra della dea sorge letteralmente sulla sepoltura di un'opera precedente, un bozzetto dei Grandi Misteri, diventando così un'icona palinsestica, un simulacro cresciuto sul corpo del passato, come un fiore che germoglia da una tomba. Questo dato non è secondario, ma fondamentale per la lettura dell'opera: Persefone diventa allora un'epifania della stratificazione, un corpo-donna cresciuto sullo strato del mistero, sul mito sepolto, sulla pittura redenta e rigenerata.
L'opera è un altare di potere silenzioso, e lo spettatore non è spettatore ma officiante. In essa si uniscono: classicismo leonardesco, naturalismo visionario, alchimia psichica della materia e memoria del proprio gesto pittorico precedente, che non viene cancellato, ma trasfigurato nel sacro. -
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Il mito di Persefone
Il mito di Persefone è uno dei racconti più affascinanti e simbolici della mitologia greca, profondamente legato ai cicli naturali e all'alternarsi delle stagioni. Persefone, figlia della dea Demetra, viveva una vita serena tra fiori e luce fino al giorno in cui Ade, dio degli Inferi, la rapì per farne la sua sposa. Il dolore di Demetra per la scomparsa della figlia fu così profondo da interrompere ogni forma di vita sulla terra: i campi smisero di dare frutti, la terra si inaridì e l'umanità fu colpita dalla carestia.
Solo l'intervento di Zeus portò a un compromesso: Persefone avrebbe trascorso sei mesi all'anno nell'Ade con Ade e sei mesi sulla terra con sua madre. Da questa alternanza deriva la spiegazione mitologica delle stagioni: l'autunno e l'inverno corrispondono alla sua discesa negli inferi, mentre la primavera e l'estate segnano il suo ritorno e la rinascita della natura.
Nel tempo, il mito di Persefone ha assunto anche un significato simbolico legato alla trasformazione e alla fertilità. Alcune piante sono diventate rappresentazioni viventi del suo destino. Il melograno, ad esempio, è il frutto che Persefone assaggia nell'Ade, legandosi per sempre a quel regno; i suoi chicchi rossi sono simbolo della vita che nasce dalla morte. Il papavero, sacro a Demetra, richiama il sonno e l'oblio, ma anche il potere generativo della terra. Infine, il grano è l'emblema stesso del ciclo della semina e del raccolto, della morte apparente del seme e della sua rinascita nella spiga. -
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A sinistra, una figura alata, possente e ieratica - forse un angelo, un genio o una personificazione del destino - sembra guidare il destino con un gesto solenne e irrevocabile. Il suo volto è immerso in un'aura luminescente che ricorda le nuvole degli antichi apparati divinatori, mentre la sua mano regge una lancia o uno scettro cosmico che dirige il corso degli eventi.
Sullo sfondo, un paesaggio desertico stratificato, segnato da alberi sottili e minacciosi, si apre sotto un cielo attraversato da un arco di luce: un arcobaleno che, lungi dall'essere un segno di alleanza biblica, sembra qui essere il contrappunto ironico o sublime della caduta - una traiettoria invertita che accompagna la precipitazione dell'anima.
L'opera affonda le sue radici nel mito di Dedalo e Icaro, ma lo reinterpreta attraverso una lente espiatoria e crudele, simile a quella di un post-orfismo tragico. Dedalo, qui non rappresentato direttamente, è evocato come una forza demiurgica cieca, un Prometeo tecnico che sacrifica il figlio per la perfezione del volo. Il “collezionista di ali”, figura centrale e allo stesso tempo giudice, boia e archivista dell'empietà alata, rappresenta l'inevitabile conseguenza del gesto sacrificale: raccoglie le prove, i segni corporei, delle sfide fallite contro l'ordine divino.L'evirazione alata di Icaro è un'immagine potente che ribalta l'estetica del volo come libertà per convertirla in condanna: la tecnica, portata oltre il limite, non eleva ma mutila. Il corpo di Icaro, scivolato in una trasparenza spettrale, diventa simbolo dell'anima che si dissolve quando l'hybris raggiunge il suo apice. L'intera composizione appare allora come una liturgia del fallimento, un teatro teurgico della caduta, in cui il Collezionista conserva le ali come reliquie blasfeme di un oltraggio al divino.
L'angelo o il genio alato può essere letto come un Daimon punitivo, uno spirito che accompagna e conduce l'anima a destinazione, non come guida salvifica, ma come carceriere dell'ordine cosmico. È forse l'esecutore del verdetto o l'ombra celeste del desiderio che spinse Icaro verso il sole?
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Immergendosi nelle opere conservate nei musei europei e non solo, Arrivabene ha sviluppato una comprensione profonda e intuitiva dell'arte classica.
La sua ricerca creativa ruota attorno alla ricerca della continuità, un filo che collega l'estetica e la poetica del passato con le contraddizioni del mondo contemporaneo. La sua arte riflette un deliberato ritorno ai valori della bellezza e della profondità spirituale, spesso persi nel discorso artistico moderno.
Profondamente ispirato dagli Antichi Maestri - Leonardo da Vinci, Albrecht Dürer, Jan van Eyck, i Primitivi fiamminghi e Rembrandt - Arrivabene ha forgiato il proprio percorso artistico, rifiutando la modernità a favore di tecniche e sensibilità antiche. Attraverso anni di studi autodidattici, ha fatto rivivere i metodi tradizionali di pittura, compresa la preparazione artigianale di pigmenti e materiali, molti dei quali erano da tempo caduti in disuso.
Le sue opere sono caratterizzate da un'intensità visionaria e da un ricco linguaggio simbolico. Lavorando con materiali rari e preparati a mano, Arrivabene fonde elementi mistici e allegorici in composizioni oniriche. La sua immaginazione attinge a piene mani dalle collezioni rinascimentali e barocche di “Naturalia, Mirabilia et Artificialia” - un universo eclettico popolato da strani animali e oggetti curiosi, che riecheggia gli armadi delle meraviglie (Wunderkammern) del passato. -
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AGOSTINO ARRIVABENE
APRIRE LE ZOLLE - VISIONI DAL SOTTOSUOLO
PRIMO MARELLA GALLERY LUGANO
21 giugno - 31 luglio 2025